Un autunno caldo by Andrea Fantini

Un autunno caldo by Andrea Fantini

autore:Andrea Fantini
La lingua: ita
Format: epub
editore: Codice Edizioni
pubblicato: 2023-02-06T00:00:00+00:00


Capitolo 11

Deserti blu

Quando nel 1997, al ritorno da una traversata, il navigatore e oceanografo Charles Moore decise di fare rotta col suo catamarano su una zona piuttosto remota dell’oceano Pacifico settentrionale, si trovò di fronte a uno spettacolo impressionante: ad attenderlo c’era infatti una compatta e sgargiante distesa di rifiuti, in cui lo scafo scivolò per giorni come su un’immensa poltiglia plastica. La scoperta di Moore confermava una delle previsioni formulate da alcuni scienziati già nel 1988: quella dell’esistenza di un’enorme chiazza di materiali plastici convogliati dal vortice subtropicale dell’oceano Pacifico, oggi nota come Great Pacific Garbage Patch. La chiazza è forse oggi una delle immagini più sconvolgenti dell’impatto che il nostro sistema economico ha sugli ecosistemi. Gran parte delle stime parla di un’estensione compresa tra i 700.000 e 1.600.000 km2 e di un peso pari a 3 milioni di tonnellate; sarebbe composta, per una percentuale consistente, da residui di reti e materiali da pesca1. Altre stime, come quelle dello stesso Charles Moore, arrivano a ipotizzare cifre ben superiori, fino a 10 milioni di km2, una superficie maggiore di quella della Cina. Quel che è certo è che questa massa plastica, come la sua gemella nel nord dell’Atlantico (North Atlantic Garbage Patch), incide a fondo sulla biologia del pianeta. Animali planctofagi e numerose specie di pesci, tartarughe, uccelli muoiono a causa dell’ingestione diretta di rifiuti plastici, mentre le plastiche degradate in particolati finissimi sono arrivate a contaminare l’intera catena trofica marina, fino a coinvolgere anche noi umani, che consumiamo pesce e molluschi. Parallelamente, attorno alle grandi chiazze si sono creati enormi ecosistemi specifici composti perlopiù da diatomee e batteri, alcuni dei quali potenzialmente patogeni2. Antromi all’ennesima potenza, per riprendere il termine coniato da Ellis, che testimoniano con spettacolare evidenza la nostra capacità di condizionare, nel volgere di qualche decennio, l’evoluzione sul pianeta Terra.

La drammatica situazione attuale degli ecosistemi marini è del resto, al pari di quelli terrestri, il risultato di un’aggressione recente. L’elemento acqueo rappresenta da sempre uno dei cardini su cui si impernia il prosperare delle comunità umane. I corsi fluviali e i bacini lacustri sono serviti nei millenni a favorire lo sviluppo agricolo, così come a fornire acqua e risorse per lo sviluppo dei villaggi e delle città, servendo anche per l’igiene delle comunità e per far defluire scarti e rifiuti. Al tempo stesso, i mari hanno rappresentato una risorsa decisiva per le civiltà costiere, che vi hanno trovato un enorme bacino alimentare oltre che una via di comunicazione di fondamentale importanza. I miti e i rituali che celebrano il mare, e talora i fiumi e i laghi, sono una prova eloquente del rapporto simbolico e viscerale che è sempre esistito tra gli esseri umani e l’acqua, e di cui la letteratura e le tradizioni orali di tutto il mondo recano testimonianza3.

Lo sviluppo delle tecniche di sfruttamento e approvvigionamento idrico degli ultimi secoli ha aumentato la capacità di convogliare, controllare e dominare l’elemento acqueo, decretando però il progressivo deterioramento di un delicato equilibrio che, tra errori e successi, durava comunque da millenni.



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